Un amore quasi banale

Mi mancano le nostre chiamate a distanza di sei giorni l’una dall’altra.

Un siparietto di auguri durato quasi trent’anni, un gesto sempre uguale, di un affetto intaccabile, intoccabile, indiscutibile. Un amore quasi banale.

Era sempre un “Auguri Fra”, anche quando a farli eri tu a me, che di nome però mi chiamo Marco.

Oggi sarebbe stato il mio turno. In questo momento dovrei smettere di scrivere e chiamarti, perché l’istinto è ancora e sempre quello.

Ma anche questa volta urlo perché mi manca la tua voce, e allora gli auguri dovrò farteli di nuovo tenendo la testa bassa ad asciugare gli occhi e il cuore rivolto al cielo,

Auguri angelo bello.

https://youtu.be/Oi31kuGcDxk

L’altra metà del cuore

È passato un anno, e come sapevo già, non è passato niente.

In questo tempo così dilatato e stretto ho imparato che si può continuare a vivere anche se, com’è successo a me, all’improvviso perdi un pezzo di cuore.

Vivi e ti ritrovi in ginocchio a raccogliere pezzi di ricordi, voci, risate e abbracci.

Cerchi di incollartele addosso tutte insieme per non perderne più neanche un pezzo, perché sai che sono tutto quello che ti resterà di quel pezzo di cuore che è volato via.

La vita è andata avanti anche se io avrei voluto che restasse ferma ad aspettarmi, che mi lasciasse un po’ indietro a piangere di rabbia in santa pace.

Non è successo, non succede, non succederà.

E allora, se sei d’accordo, io resto qui.

E con te, ovunque tu sia, l’altra metà del mio cuore.

Le cose belle

Quelle che col tempo tendi a mettere in un angolo, quelle che appena allargano le braccia tu le prendi per la gola con le mani dell’indifferenza. Certo, la vita ti aiuta con le sue dosi di dolori e perdite e preoccupazioni che aumentano massicciamente la dose col passare degli anni.

Ti aiutano e ti stordiscono, cambiano il sapore delle cose belle, dolci, sapide. Le anestetizzano mettendo in folle le speranze, lasciandole ferme in un parcheggio a guardar passare i giorni.

Poi però ci sono le cose più belle, quelle bellissime, che, anche se a fatica, ti rimettono in moto, ti riaprono gli occhi, riaccendono tutti i sapori.

Un po’ di fatica ci vuole, perché comunque le assenze e i problemi sono sempre lì. Ma stavolta un po’ più indietro, defilate, finalmente al loro posto.

Prima le cose belle, con i loro colori, senza mani strette al collo, col respiro più fluido, con le speranze di nuovo in moto.

https://youtu.be/cUpsPxN59XI

Oggi no

Non è facile capire come comportarsi in una situazione di manifesta inferiorità, non è facile difendersi contro qualcosa che ormai ti vive un po’ dentro e un po’ dentro ti uccide.

Spesso mi capita di pensare a questo dolore che da quando te ne sei andato ha preso il tuo posto. Non mi era mai capitato di soffrire così intensamente e così a lungo, tanto che a volte quello che vivo mi sembra irreale, impalpabile, nel migliore dei casi un disguido onirico o un alibi.

E invece no, è successo proprio a me, lo sto vivendo proprio io, e dopo nove mesi dovrei saperlo già abbastanza bene.

Ma è difficile, così difficile che troppe volte ti tradisco, costringendomi a non pensarti, chiudendo il rubinetto agli occhi e abbassando la saracinesca sul cuore.

Ho scoperto che è un ottimo modo per andare avanti e passare del tempo senza piangerti, sconfiggendo l’evidenza delle cose, la pressione dei pensieri tristi, aiutando la mia lenta e macchinosa reazione. Funziona. A volte funziona così bene che torno quasi normale, con la vista pronta a vedere le persone che amo e il tatto a sfiorare i gesti di chi mi vuole ancora bene.

Ma oggi no.

Vuoto a prendere

Ho già capito che questa parte vuota di me resterà così, piena di te, degli abbracci dati, dell’amore detto, del ricordo vivido della tua voce e della tua inconfondibile risata grassa, dei rimpianti colmi di quella distanza bastarda che ci ha sempre tenuto fisicamente lontani.

Tu però mi hai dato tanto ed io quel tanto me lo sono preso tutto.

Ecco perché mi manchi in questo modo.

Ecco perché dentro di me conserverò per sempre con cura questo angolo vuoto che riempirò ogni giorno con tutto quello che di te mi manca, e ogni notte, di tutte le volte che torni a sorridermi dentro i miei sogni.

Cento giorni

Giorni che sono passati tutti uguali, vissuti alla ricerca di nuove speranze e di vecchi sorrisi.

Giorni passati cercando di divincolarmi dalla morsa di queste mani invisibili strette intorno al collo, vissuti buttandomi dentro qualsiasi cosa, pur di riempire questo odiato vuoto.

Cento giorni uguali a questo, che si sa già come iniziano e dove andranno a morire, e in mezzo l’amore preoccupato di chi mi ama e la provvidenziale indifferenza di chi per fortuna non sa.

La vita intanto sta andando avanti, e chissà per quanti altri cento giorni dovrò continuare a sperare, pregare, vivere e sopravvivere.

E scrivere per non scoppiare.

Cento di questi giorni, Marco.

È Pasqua, la vita va avanti.

La vita va avanti, mi dicono tutti, e se lo dicono tutti dev’essere vero per forza.

Me lo ripeto qualche volta anch’io, ma sempre con quel filo di diffidenza che caratterizza le mie reazioni in questo periodo spietato e paludoso.

Anzi, a dirla tutta, io la vita che va avanti la vedo solo se mi volto indietro. Avessi potuto fermarla in tempo, prima che prendesse una brutta strada, forse adesso andrebbe avanti precedendomi, invece che inseguirmi senza riuscire a raggiungere un uomo immobile.

Celebro ogni giorno la gente che mi vuole bene e che si preoccupa per me. Lo faccio illuminando i miei sensi di colpa e le loro paure.

Non riesco a nascondermi e neppure a mostrarmi. Questo limbo emotivo da squarciare al più presto mi sta soffocando. So di dovermi muovere più in fretta e nella giusta direzione, perché solo se vado veloce la vita potrà raggiungermi.

Intanto sto per muovermi di nuovo verso quella mia terra che da quando non ci sei è un po’ meno mia. Farò l’inventario delle cose che ti sei portato via e abbraccerò quello che mi hai lasciato. Che è tanto, e va avanti come la vita, a Pasqua.

La fabbrica del dolore – Pagina numero 2

La vita che mi scorre davanti in un attimo.

Colpi bassi, gioie sconfinate, sensi di colpa infiniti, sentimenti sopravvalutati, amori veri, lacrime di tutti i tipi.

Ogni volta che capita mi chiedo se sono stato un bravo bambino, un bravo ragazzo, un bravo compagno, un buon amico, un amorevole fratello.

I miei sensi di colpa conducono quasi tutte le risposte in una direzione, svegliano i ricordi di quando sarei potuto essere un figlio migliore, un fratello meno egoista, un amico più affidabile, un compagno meno complicato.

I miei sensi di colpa hanno costruito proprio al centro del mio petto una efficientissima fabbrica del dolore.

Un dolore suadente, che striscia senza muoversi mai.

Pagina N°1

Ci sono momenti della vita che ti costringono a correre all’indietro, un po’ disarticolato e un po’ Forrest Gump.

Non è facile inseguire i ricordi correndo all’indietro, ma non farsi raggiungere da loro scappando in avanti è ancora più complicato e faticoso.

E infatti adesso sono fermo, piegato in avanti, cuore in gola ed il fiato cortissimo, mentre mi guardo intorno e cerco una via di fuga. Come in quei film d’azione in cui ad un certo punto chi insegue guarda da un lato e poi dall’altro cercando di scegliere la via giusta.

Resto immobile, un po’ inseguito e un po’ inseguitore. Se torno indietro nel tempo e a noi piccini ritrovo tutte quelle cose belle che sembrano messe li apposta per aumentare la nostalgia e il dolore. Ma mi basta girare l’angolo per sbattere il muso contro tutte quelle volte che avrei dovuto essere migliore e non ci sono riuscito, contro tutte quelle scelte che complice il mio schifoso egoismo ti hanno fatto del male. No, non parlo delle zuffe sotto ai tavolini o sopra ai letti, e nemmeno del tuo sentirti sempre un passo indietro. Penso a tutte le occasioni che ho avuto per proteggerti rinunciando a qualcosa di mio e non l’ho fatto, a tutte quelle altre volte che non ho capito quanto per te fossi importante e di quel sentimento non ho avuto cura.

Capisci? Tornare indietro non è un percorso facile, fa troppo male. Così male che i tanti ricordi belli che ho di noi faccio fatica a metterli a fuoco, li sviluppo sbiaditi, come se non riguardassero totalmente me, come se non fossero anche merito mio.

Chissà se l’ho speso nel modo giusto tutto il bene che ti voglio. Chissà se lo hai compreso pienamente, se lo hai vissuto, se ti è bastato per farti capire quanto tu sia stato, sei e sarai importante per me.

Navigo e navigherò per sempre nel mio mare di “potevo dirglielo prima”, “potevo abbracciarlo di più”, “potevo sorridere meglio”.

Grazie per tutte le volte che mi hai cercato, grazie per tutte le volte che hai confidato nel mio aiuto, e perdonami se nell’unica volta che contava davvero sono stato impotente.

Non sapevo come iniziarla questa lettera, e ancor più non so come finirla. In questo momento ho un grosso problema con la parola fine. Non voglio scriverla, non mi va di pronunciarla, mi rifiuto di pensarla.

E allora non la scrivo neanche qua. E per non farla finire, questa sarà la prima parte di una lettera infinita che scriveremo insieme, io battendo questi tasti e tu dettando le parole al mio cuore.

Ridateci Lucio (Extended Version)

Ieri seguendo una popolare trasmissione televisiva mi sono reso conto di una cosa orribile: le canzoni di Lucio Battisti, tranne il materiale che potremmo trovare in giro, e che comunque sta velocemente esaurendosi, non sono più in commercio.Salto sul divano e iPhone in mano comincio una banale ricerca su iTunes Store e scopro che a parte qualche canzone presente in qualche raccolta, di Battisti non c’è traccia. 

Proseguo cercando nei canali di streaming musicale a pagamento e anche lì stessa sorte.

Morale della favola, uno dei patrimoni culturali della nostra epoca viene tenuto in ostaggio da qualcuno che per completare la sua opera diffida chiunque dall’utilizzare le canzoni di Battisti.

È successo a Morandi e compagnia bella in occasione di una trasmissione celebrativa sul grande Giulio Rapetti, meglio conosciuto come Mogol, che per i più giovani è giusto identificare come l’altra metà della mela della maggior parte dei capolavori di Lucio.

Voi magari lo sapevate già, ma io ieri ho scoperto che a tenere in ostaggio questo incommensurabile patrimonio è una certa Grazia Letizia Veronese in arte Velezia.

Lo so, quasi sicuramente, nonostante tutti questi nomi vi starete chiedendo: «ma chi cazz’è adesso ‘sta Velezia?»

Tranquilli, non la conoscete perché per tutti è sempre stata, è e sempre sarà “la moglie di Battisti”.

Ora mi tocca scriverti, carissima Velezia, che un motivo ci sarà pure, quindi restituisci al mondo la sua arte, perché è stata la musica tua e dei nostri genitori, ma è anche la musica nostra, soprattutto la musica nostra e dei nostri figli.